Inizio subito con il ricapitolare le carriera del duo inglese, più che per l’ipotetico lettore( si ho ancora dubbi che questo blog se lo fili qualcuno) lo faccio per me stesso.
I due, che arrivano a quarant’anni insieme, sono una coppia di fratelli composta dal più anziano, si fa per dire; Guy che ha ventitré anni e Howard appena diciannovenne .
La loro prima produzione avviene nel 2010 con un EP di chiara ispirazione “buraliana”, chiaramente composto da suoni che caratterizzavano la scena bass music, ma che già tradiva una discreta qualità, qui sotto un brano ad esso appartenente.
Le sonorità d’esordio vengono rapidamente tradite con una serie di Ep che mettono in evidenza una sempre più crescente influenza di suoni meno oscuri e più poppeggianti ma anche quell’incredibile maturazione che li ha portati a pubblicare il loro album di esordio, infatti, questo stesso materiale pubblicato nella loro fase di transizione e crescita, adeguatamente rimaneggiato e riadattato lo possiamo ritrovare in Seatle.
Arrivano ben presto le prime vere “zampate” che li fanno balzare agli onori della cronaca e in posizioni di tutto riguardo nelle classifiche e sono una serie di pregevoli collaborazioni che hanno visto la luce nel 2012, la prima con il cantante Sam Smith:
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e la seconda con gli AlunaGeaorge, che li ha portati sino alla seconda posizione nella classifica dei singoli nel Regno Unito
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Dopo un rapido scorcio sul backgroud dei giovini, possiamo quindi venire all’album. Il disco è pubblicato dalla Island Records, non proprio un baluardo della sperimentazione o dei suoni per i dance floors, ma un contenitore, che ha lanciato nella sua lunga esistenza un discreto numero di artisti blasonati e che è passato per più possessori sino a giungere nelle mani dell’Universal. Ora, non per essere prevenuto o per ragionare per preconcetti, ma questo fa chiaramente intuire dove sia indirizzato l’album e per renderlo esplicito ricorrerò ad una catalogazione della musica, che poco mi aggrada, ma che renderà chiara l’idea, è mainstream! Non me ne voglia nessuno per aver usato questa visione bipolare dell’universo musicale, ma sia chiaro che questa pubblicazione nasce strizzando l’occhio al largo pubblico e il che non è per forza di cose un male. Anzi, è una piacevole riprova che ciò che è fatto per essere assaporato da un più largo pubblico, può essere qualitativamente più elevato di beceri copia e incolla o dozzinali suoni.
Il disco, che può essere tranquillamente catalogato come pop, si fonda su discreto uso di voci, che derivano, se non da loro stessi, dalle collaborazione degli anni precedenti per tracce come “Latch” e “White Noise“, da nuovi apporti come quello di Ed Macfarlane per “Defeated No More“ cantante di un gruppo che personalmente apprezzo non poco cioè i Friendly Fires o da un buon sampling. L’Intro e “When a Fire starts to Burn” si basano sulla voce di Eric Thomas, “Stimulation” attinge da Liana La Havas, “Grab Her!” dai Slum Village e “Second Chance” senza timore reverenziale da “Get Along whit You” di Kelis.
Questa ossatura di cantati è abilmente innestata su una sequenza di suoni che non sono certo di prima mano, ma una sonora sintesi delle galassie di generi e correnti che hanno caratterizzato l’universo della scena inglese. La cosa non deve spaventare, il disco non suona obsoleto o ridondante, ma come una fresca voglia di sperimentare suoni, che per ovvi motivi cronologici, i Disclosure non hanno potuto vivere quando questi erano in auge o facevano la loro prima apparizione.
Va inoltre detto che in generale questa raccolta di pezzi non è una discontinua sintesi dei loro lavori precedenti con l’aggiunta di nuovo materiale per arrivare ad un quantitativo necessario a definirsi album, ma racchiude una certa logica che motiva un ascolto continuato da capo a coda, dato l’aumento di profondità nelle tracce verso l’epilogo.
Se può incoraggiare all’ascolto riporto una mia ulteriore impressione: è il disco giusto nel momento giusto, è un degno ascolto estivo energico, melodico e con ritmiche accattivanti o almeno che vi evita il colpo di sonno alla guida nel ritorno dalla gita al mare!
In quanto lavoro d’esordio e inglese merita una considerazione conclusiva, ossia l’interrogativo se questo possa essere il principio di una carriera in crescendo o l’ennesimo gruppo britannico che viene falciato dalla sindrome del secondo album, cioè l’incapacità di bissare la qualità nei lavori seguenti al primo. Personalmente nutro un minimo di speranza che possano seguire altri ottimi lavori data la capacità di rimestare senza esitazione in un ampio background come quello da cui hanno attinto sinora. Chiudo con un
il loro ultimo video, che lascia presagire dei buoni live:
Nel caso foste interessati nella versione deluxe in coda vengono aggiunte un paio di buone tracce.