Sabato mattina, piove, leggero mal di testa dovuto alle birre ingurgitate la sera precedente durante un revival di vecchi video giochi e davvero poca voglia di interagire con altri esserei umani. Per noia e sorseggiando un caffè, inciampo nuovamente in un articolo, in cui ero incappato il giorno precedente, ma non avevo degnato di grande attenzione. In breve, l’articolo mi rimanda ad uno strumento, appena reso disponibile dal gigante dell’informatica Google, chiamato Music Timeline.
Il tutto si propone di mettere in relazione la popolarità di generi e artisti con il tempo e rappresentarlo graficamente, lasciatemelo dire, credo proprio che il nerd che è in me abbia prodotto sul mio volto uno sguardo simile. Estasiato da tanti colori, andamenti e altalenarsi di generi ho iniziato subito a giocarci e farmi un’opinione. Va detto fin da subito, la cosa è piuttosto interessante, ma bisognare essere consapevoli di alcune peculiarità o forse difettucci. L’entità della popolarità viene stimata indicizzando le librerie degli utenti create in Google Play Music, quindi, in un modo piuttosto ermetico da attributi che definiremmo artistici. Del resto va ponderato il fatto che deriva da Google, azienda che brama di indicizzare e catalogare il mondo per utilizzare i dati ottenuti con lo scopo di vendere pubblicità. Probabilmente l’unico approccio concreto, che ha avuto con l’arte, è conoscere la data di morte degli artisti per proporre doodle a tema e creare la Street View dei musei per inserirvi inserzioni sulla paninoteca più prossima. Il secondo inconveniente, sono i creatori stessi ad esporlo nelle FAQ, non esistendo Internet al tempo in cui il buon Jimi era avvezzo incendiare le sue chitarre, i dati presenti in Internet sono tutti postumi e soggetti ad una forte incertezza, quindi, l’algoritmo utilizzato non può che incespicare. Un’altra pecca, a mio avviso, è frutto della smania tutta americana di dover catalogare in modo spasmodico e imporre etichette piuttosto inappropriate quando il soggetto è variegato. Uso un esempio forse non del tutto corretto, ma spero sia esemplificativo: prendete una band nota come i Coldplay, ora sebbene faccia uso di suoni e si avvalga anche di collaborazioni con artisti appartenenti alla scena alternative, non possiamo introdurli nella categoria “Alternative/Indie” perché è palese che per etichetta d’appartenenza, genere, pubblico e dinamiche di vendita non appartengono a questa scena. Il risultato di questo sistema è che, innanzitutto produce difficoltà nell’interpretare un genere e la seconda è che così eclissa band realmente catalogabili in quel genere e soverchiandoli nella visibilità .Di seguito posto le immagini dei risultati ottenuti, ho volutamente lasciato l’anteprima in piccole dimensioni per non appesantire troppo la navigazione e se desiderate ingrandirle basta che clicchiate.
Dopo aver riscontrato quanto esposto qui sopra ho voluto scendere un po’ più nel particolare, testando soggetti un po’ più vicini ai dance floor e vediamo quindi cosa ne è uscito.
Cerchiamo una “star” come Sven Vath:
Qui scopriamo che Google non è capace di curiosare nei booking dei dj, infatti, secondo il metodo usato la persistente popolarità di Sven Vath sfugge e viene dato in contrazione. Risultato identico per un dj che sovente viene criticato per l’estrema popolarità che cavalca, Richie Hawtin:
Per Big G risulta defunto proprio nel momento in cui è divenuto l’inarrestabile macchina da djset che è. È stato il re della minimal, che imponeva i suoi canoni, ma il grafico non è in grado di rappresentarlo, negli anni in cui la Minus era sulla cresta dell’onda lui non pubblicava, quindi, non esisteva! La stessa dinamica si ripercuote sulle nuove pop star come David Guetta, Steve Angello, Ingrosso ecc. ecc., ne rappresenta la fase in cui sfornavano un singolo a settimana, ma non è in grado di carpire gli ultimi anni di tour mondiali con super cachet ( puah! NDA). Del resto, le pubblicazioni di questi soggetti sono andate scemando.
Volendolo testare sul breve periodo, ho cercato quelli che potremmo definire astri nascenti( sempre che non si rivelino meteore) e ho cercato i Tale of US. Godono di una certa popolarità, vendono e sono discretamente chiacchierati, risultato:
Non pervenuti! Proviamo allora con un mostro sacro con una discreta carriera alle spalle, Mathew Jonson:
Timeline riesce a individuare i due album, ma probabilmente nelle librerie, o non sono presenti o non è capace di interpretare la pioggia di EP che ha pervaso la sua carriera. Volendomi sbizzarrire o voluto sottoporre alle statistiche di Google il più grande mistero della musica dopo la possibile morte di Paul McCartney nel 1966: Burial!
Il risultato è curioso, ne percepisce l’esplosione negli anni d’oro della Dubstep, ma non riesce ad esplicitare chiaramente l’artista e infatti non propone un risultato pulito, ma miscelato con altri personaggi.
Concludendo la mia esperienza ludica con questo curioso strumento, posso dire che è valido per rappresentare e collocare nel tempo macro fenomeni, come le grandi popstar e rockstar, incespica leggermente nel catalogare artisti poliedrici, ma non è in grado di dare un vero giudizio oggettivo. Per essere più precisi non è in grado di separare il concetto di popolarità dal momento di pubblicazione delle opere d’arte o di prendere in esame tournée. Inoltre, se dobbiamo rimanere fedeli alla nostra attitudine di essere un passo avanti a tutti e mettere nel nostro deck un brano prima di tutti gli altri, meglio se di un giovane e poco conosciuto artista, questo strumento o per difetti di gioventù e per limiti tecnici non si presta, del resto non può rappresentare fenomeni che devono ancora accadere!