Devono aver arrestato lo spacciatore di fiducia della Border Community, è l’unica ragione plausibile per giustificare l’incredibile prolificità che ha colto Nathan Fake e James Holden e che li ha portati a pubblicare ben un’album a testa nell’ultimo anno.
Il ragazzo aveva dato accenni di voler nuovamente sguinzagliare la sua incredibile creatività già nel 2010 curando un maestoso mixato per la !K7 e la sua compilation Dj-Kicks con il relativo Ep che l’accompagna usualmente.
Dopo aver rilasciato il singolo Renata affidandone un remix al sempre più capace Daphni più conosciuto come Caribou, arriva l’intero album in anteprima anche streaming.
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Il primo ascolto di quest’album è un po’ come ritrovare un vecchio amico e ritrovarlo così come ce lo si ricordava, immerso nel suo mondo con ancora tutte le peculiarità per cui lo si aveva apprezzato in passato. Così come lo pensai per Steam Days di Nathan Fake credo che The Inheritors nasca in modo spontaneo, per seguire le libere divagazioni musicali del suo autore e senza voler forzatamente incontrare i gusti del pubblico. Insomma musica fatta nel proprio studio per compiacere l’autore stesso, se poi per caso quello che ne esce è un tripudio della musica gli apprezzamenti non verranno solo dal creatore. Con un titolo ispirato presumibilmente ad un romanzo di William Golding, un romanzo in cui l’autore ci racconta con gli occhi di un uomo di Neandertal i primi contatti con con l’uomo moderno. Nel caso vogliate leggerlo in Italia il romanzo è stato biecamente tradotto come “Uomini nudi“. Questo titolo le reputo una metafora per per introdurci al contatto con quello che Holden reputa un nuovo genere, lui stesso informalmente parlava di un “psychedelic-synth-garage”, cosa intenda di preciso? Bisogna ascoltare!
Il ragazzo non è facile da imbrigliare in definizioni o categorie già esistenti tanto che per i suoi primi lavori e pubblicazioni della sua etichetta si dovette coniare il termine “Neotrance”, definizione che a distanza di anni risulta inevitabilmente obsoleta. Sia chiaro che questo nuovo album non è uno strappo con il passato, è semplicemente il proseguo del suo cammino artistico su una rotta già tracciata con i suoi lavori precedenti.
Il buon James si spoglia delle metriche minimali, rigorose e ben scandite di The Idiots Are Winning per abbracciare una psichedelia più singhiozzata e discontinua senza però perdere una melodia e serenità di fondo. Serenità è il termine che più permea le atmosfere prodotte dai 15 brani nati dal connubio di elementi della natura con altri più tipicamente urbani. La cosa più strabiliante, a mio avviso, è che queste acide e distorte armonie non nascono da un minuzioso editing postumo sulle tracce, ma da una singola forgiatura del suo synth modulare, cosa decisamente in controtendenza con le prassi dell’era digitale..
Non è un’opera nata per né per le masse né per un ascolto di massa, impegna, obbliga a soffermarsi a riflettere e seguirne i virtuosismi a un minuzioso e religioso ascolto che consenta di estrapolare la galassia di suoni di cui si compone.
Personalmente è forse il miglior album che mi abbia portato in dono il 2013 e non lo dico per l’amore viscerale che provo per le tracce precedenti di questo strafatto artista, altrimenti secondo questa logica, probabilmente dovrei reputare come miglior album finora di quest’anno un altro chiacchieratissimo lavoro, che nasce classico usando elementi già largamente collaudati.
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