Si è da poco conclusa la XIV edizione del Club to Club, il festival di musica elettronica stanziato in quel di Torino. Noi di Undernoise abbiamo partecipato alle due serate “big” che si sono tenute al Lingotto. Ecco una recensione particolarmente focalizzata sull’aspetto tecnico.
Location: chiunque abbia mai organizzato anche solo il proprio compleanno in parrocchia sa bene quanto la scelta della location sia cruciale.
Il Club to Club ha offerto una miriade di attrattive quali live, dj set e installazioni in quello che è stato ribattezzato “Absolute Simposium”, cioè l’AC hotel e in varie altre location quali teatri e piazze. Purtroppo non ci è stato possibile assaporare quello che sicuramente è stato qualcosa di succulento, quindi passiamo subito all’evento “massive” che ha avuto luogo al padiglione 1 del Lingotto nelle serate di venerdì e sabato.
Definire la location diversamente da “sterile” mi riesce difficile eppure col senno di poi bisogna ammettere che ci sono ben pochi posti al chiuso di queste dimensioni (nei quali ti venga concesso di tenere un festival di musica elettronica, tra l’altro), soprattutto in altezza. Sono costretto a notificare sotto “location” pure le tonnellate di vomito (e non solo) riversate lungo tutto il perimetro della sala
Main stage: la sopracitata altezza ha permesso il montaggio di uno stage adeguato, che non avrebbe sfigurato nemmeno in un campo sportivo (tra l’altro, il padiglione 1 è guardacaso poco più grande di un campo da calcio). Purtroppo entrando nella sala, il primo impatto visivo aveva luogo con una smisurata regia audio/video/luci (vabbè, del “video” ne parlerò dopo), sormontata da un inutile e sgraziato ring di tralicci, molto molto alto che falciava letteralmente l’impatto del main stage posto là in fondo. La sua unica funzione mi è parsa quella di sostenere ad altezza adeguata 3 videoproiettori puntati sulle pareti: una soluzione molto più aggraziata sarebbe stata quella di adottare dei proiettori ultragrandangolari montati su un traliccio posto a ridosso del muro.
Il main stage sarà certo stato dimensionalmente adeguato ma in quanto a presenza scenica… pollice verso! Una fredda impalcatura senza alcun orpello decorativo, americana frontale, seconda americana e controluce dall’aspetto troppo standardizzato e teatrale. L’unico “vezzo”, delle barre led sul fondale controllate tramite pixel mapping. E non ultimo, a me hanno insegnato che le macchine vanno montate con i display rivolti verso il retro, non verso il pubblico: durante i black out, lo stage figurava come un albero di Natale di piccoli ma luminosi schermi lcd verdi.
Personalmente, durante i miei spettacoli se necessito di piazzati bianchi sugli artisti, continuo a preferire le luci alogene: il risultato sull’incarnato rimane tuttora ineguagliabile. Qui è stata preferita la più veloce e tutto sommato razionale scelta di utilizzare le luci mobili spot ma permettetemi: la prossima volta utilizzate i filtri CTO (Color To Orange, usati per scaldare il giusto la freddissima e asettica luce a scarica) e magari anche un filtro frost (per ammorbidire i contorni netti delle luci spot dato che da che mondo e mondo, i piazzati non si fanno coi sagomatori). Il venerando e glorioso colorito dei 70 anni di Franco Battiato ringrazierà.
C’è poi il mistero di quelle 5+5 teste led wash montate verticalmente sui sostegni dell’americana frontale: in 10 ore di spettacolo su 2 giorni, MAI viste accese. In certi momenti avrebbero veramente cambiato l’empatia dello show, accarezzando di colore il pubblico o riscaldando le fredde pareti del padiglione 1. Questo proprio non me lo spiego.
In generale, lo show luci mi è parso freddo e distaccato, un “compitino” eseguito diligentemente ma senza alcun guizzo emotivo.
Veniamo al comparto video: più che ledwall, mi viene da definirlo “il fondale nero più costoso della storia”: sempre nelle solite 10 ore di spettacolo spalmate su 2 notti, ho visto pochi secondi di cavallo bianco del festival (meraviglioso!! a me è piaciuto veramente tantissimo), la copertina dell’album di Caribou e 3 ore di #berlinwall25 fisso. Ok che aborro quei visual composti da orge di colori senza costrutto e adoro i visual minimali alla Hawtin (sto parlando di contenuti video, non di set up 😉 ) ma oramai i video sono praticamente un must. Mi auguro che la causa sia stata un qualche problema tecnico visto che quelle poche volte che l’ho visto acceso, sfarfallava alla grande.
Il pollice verso va anche all’organizzazione sul palco, non so se per colpa degli organizzatori, del service o difficilmente, degli artisti ma vedere Dan Snaith in persona portarsi le percussioni sul palco e microfonarsele da sè, mi ha suscitato un certo sgomento. Senza contare la mezz’ora di ritardo accumulata coi Jungle.
Se c’è una cosa poi che ho imparato in 16 anni di lavoro in discoteca è che sugli impianti, non si risparmia.
Se hai un locale pieno di gnocca, lo potrai chiamare night, se è pieno di roba da bere, lo chiamerai pub… se vuoi che la gente venga da te per la musica, è imprescindibile che l’impianto suoni BENE e con BENE intendo al volume giusto, con la qualità adeguata, senza uccidere e senza far sentire la gente che scorreggia in pista. Da un festival del genere è difficilmente accettabile una qualità audio così approssimativa, culminata con la morte dell’impianto durante il set di Dettmann. Il che è paradossalmente comprensibile ma se una cassa ti scoppia, la devi individuare e tagliare subito, non dopo mezz’ora. Meglio lasciare a casa un ospite e far suonare gli altri con impianti all’altezza.
Sala rossa: una delle chicche di questa location è la Sala rossa: un grazioso posticino dalle pareti rosso metalliche, amichevolemente soprannominata la “sauna rossa” in virtù del suo clima equatoriale. Sono personalmente un sostenitore del fatto che in un club s’abbia da stare in canotta e ancora avere tanto caldo da bramare un frozen daiquiri ma c’è un limite a tutto: ora, non so se tecnicamente sia possibile intervenire in qualche modo sulla temperatura e sull’umidità della graziosa sala ma ne va letteralmente della salute dei presenti.
Tolto questo, l’atmosfera qui è migliore: la gente pare più educata, se non altro sembrerebbe non manifestare la necessità di marcare i perimetri della sala con il proprio vomito.
L’impianto audio suona meglio, forse pure un pochino troppo. La situazione luci è minimale ma mi tocca appuntare, pare un po’ raffazzonata: parled appoggiati in giro, teste in movimento ripetitivo. Bello e d’impatto il forte accento coi controluce e i tagli sugli artisti.
Quasi pietosa la situazione video: i contenuti ci possono stare ma vedere delle immagini proiettate su degli schermi bianchi debordare selvaggiamente sui muri dà una sensazione di pressapochismo difficilmente spiegabile.
Ho volutamente tralasciato la recensione circa lato artistico dell’evento. Se proprio volete saperlo, dal canto mio è una piena sufficienza ma con qualche piccolo segno meno.
Non credo che avrete alcuna difficoltà nel reperire impressioni sulle performance, visto che praticamente tutte vertono su questo: io ho voluto appunto limitarmi al lato tecnico e mi dispiace: insufficiente.
Ovviamente è una critica costruttiva: sono sicuro che l’organizzazione ha già focalizzato quali siano i punti da rivedere per la prossima edizione. In bocca al lupo! Alla prossima.
– some ph courtesy of our friends DLSO –