L’intervista di oggi che vi propone Undernoise.it è con un giovane artista italiano, che vanta già il supporto di artisti come Paco Osuna, Marco Carola, Dubfire, Daniel Sanchez, Dj Chus, Luciano, Richie Hawtin, Umek, German Brigante, Fabian Argomedo, Miguel Bastida. L’ospite che abbiamo il piacere di intervistare è Alberto Tolomei Aka Alberto Tolo.
1) Ciao Alberto quando è iniziato il tuo interesse verso la musica elettronica e quali sono gli artisti che ti hanno influenzato maggiormente?
Ciao, innanzitutto vorrei ringraziarvi per quest’opportunità, seguo il vostro blog e sono onorato di poter fare quattro chiacchiere con voi. Ecco, dopo questa piccola divagazione possiamo cominciare.
Il mio interesse verso la musica elettronica è iniziato nei primi anni del 2000, avevo 12 anni quando dentro ad una scatola di cereali trovai in omaggio un software per la produzione musicale amatoriale, si chiamava dance ejay, lo conservo ancora con molta cura. Ho iniziato a creare le mie prime tracce per gioco dopo aver visto Trainspotting ed essermi innamorato della colonna sonora, in particolar modo di Born Slippy; vedendomi appassionato i miei genitori decisero di regalarmi qualcosa di più professionale e così, per il mio quindicesimo compleanno, ricevetti fl studio. Erano gli anni della minimal grezza, gli anni in cui locali della mia zona come il Madam di Ferrara erano all’apice del successo e proponevano artisti del calibro di Dubfire o Marc Houle; proprio durante una serata di quest’ultimo decisi di trasformare quella semplice passione in qualcosa di più, passai ad Ableton e pubblicai il mio primo ep, era il 2017 e avevo 16 anni, ne seguirono altri, ma la svolta avvenne grazie ai primi supporti da artisti importanti, primo su tutti Paco Osuna, seguito da Umek che mi diede anche la possibilità di pubblicare una traccia per la sua 1605, arrivando infine al supporto da parte di Hawtin e Dubfire.
2) Il processo creativo per le tue produzioni è distinto dal live?
Non me la sento di dire che tali processi coincidano ma non posso neppure affermare che siano due fasi totalmente indipendenti tra loro. Mi spiego meglio, quando butto giù l’idea per una nuova traccia cerco sempre di immaginare l’effetto che farà suonarla live; le tracce per il live set devono per forza di cose essere più movimentate, avere più groove, in quanto non essendo un dj set non puoi passare rapidamente alla traccia successiva se noti che la reazione del pubblico non è delle migliori. In alcuni casi registro dal vivo alcune parti della traccia direttamente dalle macchine, ma questo è un altro discorso, il più delle volte lo faccio per esigenze tecniche come nel caso dell’m20 il quale non può essere controllato tramite ableton per quanto riguarda le automazioni del filtro; altre volte durante una jam spensierata mi accorgo di aver creato un basso interessante e decido di registrarlo subito per non perdere la patch, ma come ho detto sopra, in generale ho un approccio alla stesura diverso da quello per il live set.
3) Ci manderesti una foto del tuo studio e del tuo setup per il live?
Più o meno i set up coincidono, generalmente per il live utilizzo il livid cntrl per controllare le clip e gli effetti di Ableton live, mentre per aggiungere parti dal vivo mi affido all’Electribe 2.
4) DJ set o live set, dove ti senti più a tuo agio?
Ho iniziato come dj tuttavia adesso non mi considero tale; il mio live set con ableton ha comunque un’impronta che richiama un dj set ma con l’aggiunta di parti drum dal vivo grazie alle rack o tramite l’Electribe. Il set che propongo è ibrido, non è il classico mixato ma non è neppure un live puro totalmente improvvisato. Scompongo le mie produzioni in parti che vado poi a ricomporre in sequenza, qualche volta aggiungo tracce di artisti che mi piacciono particolarmente, come nel caso della seconda traccia del set per il podcast. In definitiva mi sento più a mio agio nel live (inteso come live con ableton) per il semplice motivo che posso proporre qualcosa di un po’ differente rispetto al classico mix, senza nulla togliere a quest’ultimo.
5) Le tue release in SCI+TEC nel 2015 e nel 2016 e il supporto di Dubfire ti hanno sicuramente aiutato ad emergere, per quest’anno che progetti e obiettivi ti sei prefissato? Prossime release e collaborazioni in vista?
Si, senza dubbio, sarò sempre grato a SCI+TEC e spero di proporre presto un nuovo ep con loro. Al momento sto lavorando a molti remix e collaborazioni sperando di trovare presto il tempo per un ep tutto mio, senza nulla togliere agli artisti con i quali sto lavorando. In estate uscirà il mio primo lavoro per la nuovissima ONESELF, etichetta di un grande artista e amico spagnolo, The Deals. Saranno tre tracce original accompagnate da due remix da parte di due artisti Minus, ma per adesso non posso rivelare di più. A breve uscirà un remix a cui tengo particolarmente su Phobos.
Sto ultimando un ep con un talentuoso amico, HALO, sto lavorando ad una collaborazione con lo spagnolo Rosper, un grande artista che ha pubblicato un ep incredibile con la label di Dubfire, mentre a breve inizierà un progetto con Siles, resident alla Barraca di Valencia, attualmente uno dei miei artisti preferiti.
6) una domanda che facciamo spesso ai nostri ospiti italiani, come giudichi la scena underground italiana al momento?
La scena underground italiana non è molto fiorente, non per la mancanza di artisti giovani e talentuosi, ma per la solita ed ormai stantia convinzione che tutto ciò che viene dall’estero sia migliore. E’ un fenomeno esclusivamente italiano, non si supportano gli artisti locali, spesso per invidia. Mi spiego meglio, ormai ogni dj sente l’esigenza di essere anche producer ma non è detto che un bravo produttore sappia destreggiarsi con maestria in console come non è sufficiente essere bravi ad intrattenere la pista per poter creare tracce con carattere; questa espansione del fenomeno dj/producer fa si che si crei molta competizione tra i giovani emergenti che invece di aiutarsi e coalizzarsi, si fanno la guerra, ostacolandosi a vicenda, nascondendosi dietro la falsa idea che ho esposto sopra, ovvero il binomio estero/qualità. Parlo per esperienza personale, fatti del genere avvengono in continuazione. Purtroppo in Italia, nella maggior parte dei club, non si va per la musica ma per l’artista, in alcuni casi il big è sinonimo di un grande dj set ma spesso, per il “clubber medio”, ovvero colui che lo è per moda, il binomio si riduce a Carola uguale bombe, senza nulla togliere a Marco, non sto criticando i gusti musicali in quanto personali, ma l’associazione di alcuni (pochi) nomi con la scena underground escludendo automaticamente artisti che avrebbero tanto da dare al pubblico.
Vi ringrazio ancora per l’opportunità, dopo questo piccolo sfogo finale ci tengo a ringraziare tutti i miei supporter, continuo a produrre grazie a loro.
Vi lasciamo con il podcast che Alberto Tolo ha realizzato per Undernoise.it